Con il Decreto Rilancio (n. 34/2020) il Governo ha prorogato il divieto di licenziamento dei lavoratori dipendenti per ragioni economiche (tecnicamente, per giustificato motivo oggettivo) fino al 17 agosto 2020. Il divieto era stato introdotto per la prima volta dall’art. 46 del Decreto Cura Italia (n. 18/2020, convertito nella L. 27/2020) per il periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore del decreto (17 marzo 2020) e il 16 maggio 2020 e riguardava tanto i licenziamenti individuali quanto quelli collettivi per giustificato motivo oggettivo. In una nota del 24 giugno 2020, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito che la sospensione dei licenziamenti sancita dall’art. 46 del Decreto Cura Italia deve considerarsi, secondo la volontà del legislatore, una norma a carattere generale, applicabile a tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il divieto non riguarda invece i licenziamenti per giusta causa (vale a dire la causa che non consente la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto di lavoro) e quelli per giustificato motivo soggettivo (che consiste nel grave inadempimento di obblighi del prestatore di lavoro, come ad esempio le violazioni disciplinari su cui si tornerà nella seconda parte di questo articolo).
Accanto al blocco dei licenziamenti per ragioni economiche è stato previsto, a favore dei lavoratori e delle imprese, un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, con l’obiettivo di consentire alle imprese, colpite dal lock-down ed impossibilitate a far lavorare i propri dipendenti, di sospendere il rapporto di lavoro collocando i dipendenti in cassa integrazione.
Non vi è dubbio che i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, siano essi individuali o collettivi, intimati durante la vigenza del divieto siano nulli ai sensi del 1° comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, con conseguente possibilità per il lavoratore di chiedere la reintegrazione nel posto di lavoro, la corresponsione di un’indennità pari alle mensilità di retribuzione dovute tra la data del licenziamento e quella dell’effettiva reintegrazione (con la garanzia di un minimo di 5 mensilità), oltre all’obbligo di pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Sempre con il Decreto Rilancio l’esecutivo ha consentito ai datori di lavoro che, nel periodo di vigenza del divieto, abbiano intimato licenziamenti per ragioni economiche di revocare gli stessi, anche successivamente al decorso del termine previsto dalla legge per la revoca (15 giorni dall’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, ai sensi dell’art. 18, 10° comma dello Statuto dei Lavoratori) senza oneri né sanzioni, purché contestualmente venga richiesto, per il dipendente colpito dal licenziamento revocato, l’ammissione al trattamento di cassa integrazione.
Sarà certamente possibile intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dopo la scadenza del divieto (ad oggi, a partire dal 18 agosto 2020), purché ne ricorrano i presupposti.
Vediamo quali licenziamenti sfuggono al blocco imposto dalla legislazione emergenziale sul Covid-19.
Certamente sono da ritenersi intimabili, anche nel periodo di blocco, i licenziamenti disciplinari.
Se un lavoratore commette un grave inadempimento alle proprie obbligazioni (derivanti dalla legge o dal contratto individuale o collettivo di lavoro), il datore di lavoro potrà quindi licenziarlo, previa contestazione degli addebiti nel rispetto di quanto previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Sono inoltre escluse dal blocco i mancati rinnovi dei contratti a termine, che tecnicamente non sono licenziamenti.
Per quanto concerne le ipotesi di licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, si può ritenere che il periodo di lock-down vada considerato come sospensione del periodo di prova e che tale periodo debba riprendere dopo la fine del blocco dei licenziamenti, per consentire al lavoratore di concluderlo. L’opinione è tanto più condivisibile nei casi in cui il periodo di prova sia iniziato poco tempo prima del 17 marzo 2020: in tale caso difficilmente potranno essere correttamente apprezzate le reali capacità lavorative del dipendente e la sua attitudine a svolgere le mansioni richieste.
Si ritengono possibili anche i licenziamenti per superamento del periodo di comporto. Il periodo di comporto è il numero massimo di giorni di assenza del lavoratore dovuti a malattia, infortunio, gravidanza o puerperio superato il quale il datore di lavoro ha diritto di recedere dal rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2110 cod. civ. Va però ricordato che – ai sensi dell’art. 26, 1° comma del Decreto Cura Italia – il periodo di quarantena trascorso dal lavoratore al proprio domicilio non è computabile ai fini del superamento del periodo di comporto.
Nel periodo di blocco sono inoltre possibili i licenziamenti:
- per raggiungimento del limite dell’età pensionabile;
- dei lavoratori domestici, che per legge sono soggetti al regime del recesso ad nutum, cioè senza obbligo di motivazione, da parte del datore di lavoro;
- degli apprendisti al termine del loro periodo di formazione, visto che il datore di lavoro ha facoltà di recedere dal rapporto ai sensi dell’art. 42, 4° comma del D. Lgs n. 81/2015.
Dubbi sono sorti circa la possibilità di licenziare, nel periodo di blocco, i dirigenti. Infatti l’art. 46 del Decreto Cura Italia vieta il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. 604/1966, norma che non si applica ai dirigenti. D’altra parte, è vero che i dirigenti non sono licenziabili collettivamente con le procedure di cui alla Legge 223/1991: per essi è prevista una procedura individuale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 24 comma 1-quinquies della L. 223/1991. Sembrerebbe sussistere una contraddizione sulla licenziabilità dei dirigenti nel periodo emergenziale: non licenziabili collettivamente, ma solo individualmente, visto il mancato richiamo, nella legislazione emergenziale, della norma da ultimo citata (art. 24, comma 1-quinquies della L. 223/1991). Peraltro, se si considera la finalità del Decreto Cura Italia – che è quella di limitare le conseguenze economiche e le ricadute occupazionali dell’emergenza sanitaria da Covid-19 – si può ritenere che il legislatore abbia voluto vietare, nel periodo di blocco, tutti i licenziamenti dei dipendenti per ragioni economiche, compresi quelli dei dirigenti. Si richiama la nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sopra citata, in cui è chiarito che sono vietati anche i licenziamenti per sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione assegnata.
Questa è ad oggi la situazione: verdremo quali saranno le modifiche che il Parlamento apporterà al Decreto Rilancio al momento della sua conversione in legge: ulteriore proroga del divieto di licenziamento e del ricorso agli ammortizzatori sociali o altro? Il Ministro dell’Economia ha annunciato che potrebbe essere disposta la proroga del divieto e della cassa integrazione fino alla fine del 2020.
Seguiteci su www.tutelati.eu e sui nostri social Fb e LinkedIn e vi terremo aggiornati.